venerdì 29 gennaio 2010

PAGINA 27 "io l'Assassino"

E proprio qui, incastrato fra la parete di fondo
e questo muretto, in uno spazio di non più di sessanta centimetri, si
trovava la “turca” dove espletare i propri bisogni.
Turca, oddio. In realtà si trattava di un semplice buco nel pavimento
di circa 30 centimetri di diametro attorniato da una corolla di piastrelle
con pendenza verso il centro e, almeno stando all’odore che
fuoriusciva, collegato direttamente con le latrine dell’inferno.
Nel vederlo ebbi un conato di vomito, anche se più della vista credo
fosse dipeso dal forte odore che emanava. Nel suo sporco raccontava
e gridava la storia di tutti i detenuti passati da lì e, pur se fra
smorfie di disgusto, mi sentii attratto. Attratto come se nel suo interno
vi fosse racchiusa l’essenza, l’Io più profondo, intimo, delle
persone che vi si erano accovacciate sopra. O forse era semplicemente
il mio sentirmi oramai “morto” ad attrarmi verso quello che
potevo considerare la mia futura destinazione: trascorrere il resto
della mia vita in carcere, la cloaca della società. Durò un solo
istante, ma si trattò di un istante lungo quanto una vita dove i miei
sensi presero a distinguere il fetore e riuscii a percepire il profumo
delle spezie del vicinoMarocco, l’odore acre del sangue coagulato,
la rabbia, la vita, la morte, l’attesa, l’agonia, il rimpianto, la sofferenza,
il dolore, la disperazione, il sale di tutte le lacrime versate. In
quell’anticamera dell’aldilà capii di essere veramente morto, e la
prova stava proprio nella mia capacità, altrimenti innaturale, di avvertire
quegli odori. Quel buco nero pulsava di vita propria: era la
matrice della terra, era la mia immagine. …morii e mi lasciai andare
dolcemente, e il buco nero mi accolse nel sul ventre caldo.

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